Il “programma logicista” di Gottlob Frege

Gottlob Frege dedicò la sua carriera al tentativo di riscrivere i fondamenti dell'aritmetica utilizzando un simbolismo puramente logico.

Frege

Il primo tentativo orientato a riscrivere il corpo stabilito della matematica nel simbolismo logico fu fatto dal logico e filosofo tedesco Gottlob Frege (1848-1925). Frege conseguì il dottorato in matematica a Gottinga nel 1873. L’anno seguente iniziò la sua carriera di insegnante presso l’Università di Jena, dove rimase per 45 anni. Il lavoro matematico di Frege fu quasi interamente dedicato alla logica matematica e ai suoi fondamenti. Il suo trattato, intitolato “Coceptual Notation, a Symbolic Language of Pure Thought Modeled on the Language of Arithmetic” (Ideografia, un linguaggio in formule del pensiero puro a imitazione di quello aritmetico), pubblicato nel 1879, è stato una pietra miliare nella storia della logica moderna. Tuttavia passarono più di 20 anni, prima che Bertrand Russell ne riconoscesse la grandezza del risultato.

Come per Dedekind, anche per Frege l’aritmetica va pensata strettamente legata alla logica; ma mentre il primo

«identificava logica e aritmetica intendendo che la logica fosse aritmetica… Frege ribalta questa posizione: l’identificazione fra logica e aritmetica avviene perchè l’aritmetica è logica. In questo senso Frege compie un ulteriore passo, giungendo alla logicizzazione della matematica » – C. Mangione.

Il nucleo dell’impostazione fregeana consiste nell’enunciazione di un “programma logicista” da porre a fondamento della matematica: i concetti matematici per Frege devono essere definiti in termini puramente logici e le “verità” (i teoremi) vanno derivate, attraverso regole logiche esplicative, a partire da princìpi di natura esclusivamente logica.

Il primo passo verso una fondazione logica della matematica risiede nel preparare una serie di opportuni strumenti che consenta di formalizzare i processi logici di deduzione. Questo fu assicurato da Frege con il suo già citato trattato del 1879, che, all’epoca, non ottenne il riconoscimento che l’autore si aspettava.

Cinque anni più tardi nel 1884, con The Foundations of Arithmetic (“Fondamenti dell’aritmetica. Una ricerca logico-matematica sul concetto di numero”), Frege, abbandona temporaneamente la complicata simbologia presente nell’Ideografia, e presenta il suo programma di ricerca, in cui il momento centrale è rappresentato dalla definizione in termini puramente logici del concetto di numero.

Frege è intransigente con le infiltrazione della psicologia nella logica e con la questione dei fondamenti dell’aritmetica. Egli si dimostra più vicino alle idee filosofiche di Kant, del quale accetta anche la terminologia che comprende i giudizi analitici, sintetici, a priori, a posteriori.

Decisa è anche la sua opposizione al punto di vista formalista in matematica. Quest’ultimo, coerentemente con l’aforisma di Hilbert “in principio era il segno”, vede nel segno 1 il significato del numero uno, nella figura 1+1 il significato di due, ecc. L’aritmetica diventa lo studio delle combinazioni di figure. Tale posizione formalista acquisterà spessore teorico con Hilbert.

Frege si oppone ai formalisti: il segno numerico altro non è che un modo di denotare il contenuto concettuale del numero. Egli dà la sua definizione di numero:

Il numero naturale che spetta al concetto F non è altro che l’estensione del concetto “ugualmente numeroso ad F”, dove il fatto importante è quello di ricondurre il concetto di numero a quello di estensione, concetto di natura decisamente logica.

Frege, dunque, definisce numero quello che per Cantor era la cardinalità di un insieme. Alla base delle due definizioni possiamo ravvedere lo stesso concetto: equipotenza di insiemi per Cantor, equinumerosità di classi per Frege, fondati entrambi sulla nozione di corrispondenza biunivoca.

Tuttavia, diverso è il cammino teorico nei due casi. Cantor definisce il numero cardinale di un insieme attraverso un processo di astrazione – che egli lascia a livello intuitivo e logicamente indeterminato, per poi considerare tutti gli insiemi equipotenti all’insieme dato. Frege invece prima definisce il concetto di equinumerosità per classi e poi, attraverso una logicamente rigorosa definizione per astrazione, definisce il numero cardinale, che risulta identificato con la classe di tutte le classi ad essa equinumerose.

A parte le differenze legate alle diverse motivazioni, Frege sviluppò un approccio equivalente a quello di Cantor, approccio che va sotto il nome di teoria ingenua degli insiemi. Tale teoria si può condensare in due soli principi che identificano gli insiemi con le proprietà che li definiscono. Tali principi sono:

  1. Il principio di estensionalità: un insieme è completamente determinato dai suoi elementi. Dunque, due insiemi con gli stessi elementi sono uguali.
  2. Il principio di comprensione: ogni proprietà determina un insieme. Gli elementi appartenenti all’insieme sono quelli che soddisfano la proprietà; ogni insieme è quindi determinato da una proprietà ovvero quella di essere un oggetto appartenente all’insieme.

Il lavoro di Cantor e Frege mostrava che l’aritmetica era riducibile alla teoria degli insiemi, cioè alla pura logica. Purtroppo questa semplice fondazione si dimostrò inconsistente, da cui l’aggettivo “ingenua”. Infatti, nel 1902, Bertrand Russel fece vedere che il principio di comprensione era contradditorio: si trattava del celebre paradosso di Russel. Come spiega Piergiorgio Odifreddi nel suo “La matematica del novecento”:

In sostanza si dividono gli insiemi di oggetti in due classi, a seconda che essi siano o no uno degli oggetti contenuti nell’insieme stesso: detto altrimenti, a seconda che essi appartengono o no a se stessi. Per esempio, l’insieme degli insiemi con più di un elemento appartiene a se stesso, perchè certamente ha più di un elemento. Invece, l’insieme degli insiemi con un solo elemento non appartiene a se stesso, perchè certamente anch’esso ha più di un elemento.

Ed è a questo punto che si inserisce il paradosso di Russel con la sua domanda: l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi, appartiene o no a se stesso? Ancora dal libro citato:

Se sì (appartiene a se stesso), allora è uno degli insiemi che non appartengono a se stessi, e quindi non può appartenere alla loro collezione, cioè a se stesso. Se no, allora è uno degli insiemi che non appartengono a se stessi, e dunque appartiene alla loro collezione, cioè a se stesso.

Nell’ultimo decennio del secolo, prima della obiezione di Russel, Frege continua a perseguire il suo programma logicista pubblicando nel 1893 il primo volume dei Principi dell’aritmetica cui seguirà il secondo qualche anno dopo.

Amarezza degli ultimi anni

Come detto, a causa della complessità del simbolismo utilizzato e la novità dell’approccio, le opere di Frege passarono quasi interamente senza riconoscimento fino a quando Russell dedicò ad esse un’appendice nei suoi Principles of Mathematics (1903). Quando i due volumi dei Principi dell’Aritmetica erano in stampa, Russell trovò il paradosso e lo comunicò a Frege in una lettera.

Frege riconobbe la contraddizione contenuta nel suo sistema, e si ha la sensazione che egli non sia più stato da allora in grado di riconquistare la sua fede nella possibilità di una fondazione puramente logico-formale dell’aritmetica. Di fatto negli ultimi anni egli abbandonò la sua ricerca e morì amareggiato, convinto che il lavoro della sua vita fosse stato per la maggior parte un fallimento. La morte di Frege non suscitò grande attenzione dal mondo accademico: un destino ingiusto per un uomo che non di meno fu artefice di una rivoluzione nella logica.

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