Perchè alcuni imprenditori lasciano Amazon

Dobbiamo ammetterlo, se c’è qualcosa che ha davvero semplificato e rivoluzionato la nostra vita digitale, quel qualcosa è Amazon.

Amazon è a nostra disposizione, ovunque noi siamo e ogni qualvolta noi lo desideriamo, con una offerta immensa: libri, ebook, film, servizi di streaming, musica e prodotti e servizi per la casa come il famoso assistente vocale Alexa, solo per citarne alcuni.

Questo sito ecommerce sembra quasi essere diventato un pilastro fondamentale delle nostre vite. In ogni situazione di emergenza, sappiamo di poter contare sul servizio di Amazon Prime a cui siamo naturalmente abbonati e nel giro di un paio di giorni o meno, sappiamo che il nostro pacchetto sarà ad aspettarci fuori dalla porta.

E’ diventata una consuetudine, basta digitare una parola chiave nella barra di ricerca, scorrere la lista dei risultati trovati, un semplice click e l’affare è fatto! Forse proprio questa semplicità ha contribuito a fare di Amazon un protagonista così importante delle nostre vite.

Ma dietro a tutti questi aspetti apparentemente vantaggiosi, che cosa si nasconde veramente?

Un po’ di storia

Amazon è la più grande società di commercio elettronico al mondo e Jeffrey Preston Bezos, come sarà ormai noto a tutti, è il suo fondatore e presidente, nonché l’uomo più ricco del mondo secondo le più recenti stime di Forbes.

Ma vediamo più in dettaglio la storia di questa azienda che, partita da un garage, si è via via evoluta fino al gigante che conosciamo oggi.

Amazon fu fondata nel luglio del 1994 da, appunto, Jeff Bezos ma nacque originariamente come sito per l’acquisto di soli libri: non troppo difficili da reperire, non troppo costosi, facili da impacchettare e distribuire.

Non era di certo il primo ad avere avuto l’idea di vendere libri online, ma Bezos con il suo sito seppe emergere per i suoi grandi vantaggi in termini di comodità e convenienza: i libri ordinati online erano accessibili e acquistabili da tutti e consegnati esattamente presso le abitazioni dei lettori di tutto il mondo. Bezos, però, aveva fin da subito in mente progetti ben più ambiziosi: non si sarebbe di certo limitato a una semplice attività di rivendita di libri.

Amazon sarebbe diventato infatti uno dei negozi online più grandi del mondo, destinato alla vendita di qualsiasi cosa, come suggerisce il nome “Amazon”, uno dei più grandi fiumi del pianeta. E pensare che tutto ebbe inizio proprio dal suo garage in Bellevue, Washington dal quale Bezos gestiva la sua attività, per poi arrivare ad ampliare la sua offerta con la vendita di film, cd e videogiochi.

Successivamente, arrivò una rapida espansione del suo business grazie alla collaborazione con migliaia di altre aziende: Amazon permetteva loro di mettere in vendita il loro catalogo di prodotti attraverso il sito. Era la nascita di quelli che oggi chiamiamo marketplace. Così si giunse ai risultati che conosciamo: su questo sito si trovano milioni di prodotti, e ora anche prodotti a marchio Amazon.

Sempre più attività lasciano Amazon: perchè?

Dopo aver lasciato il lavoro di global business developer presso Amazon, Aaron Kerson ha utilizzato la sua conoscenza degli algoritmi di vendita della piattaforma per potenziare la sua nuova attività. La Pacific Northwest Components, attività intrapresa nel 2015 con la moglie Emily, diventò rapidamente un successo: vendeva manubri, leve e altri ricambi tecnici per mountain-bike.

Quando, però, ci ritrovammo al centro di una pandemia mondiale anche il settore della bicicletta fu colpito da enormi problemi di approvigionamento dai fornitori, entrando in crisi. Fu in quel momento che Kerson realizzò che uno dei suoi partner gli stava causando più problemi del previsto: Amazon.

Fu così che K decise di abbandonare la piattaforma ecommerce di Amazon e di rimuovere tutti i suoi prodotti dal marketplace. E altre aziende lo seguirono poco a poco in questa decisione. Negli ultimi due anni marchi come Nike, Birkenstock e Ikea hanno ritirato i loro prodotti dal marketplace, lamentando come problemi principali la contraffazione degli articoli e la mancanza di accesso ai dati dei clienti.

Kerson, infatti, cominciò a pensare che non valesse più la pena vendere parte del suo limitato stock limitato attraverso Amazon (le cui commissioni non sono trascurabili): era necessario agire subito per poter riassegnare l’inventario ai negozi di biciclette indipendenti, con l’intento di salvare un’industria ormai sconvolta dalla pandemia.

E’ vero, rimuovere tutti gli articoli della PNW Components da Amazon avrebbe significato rinunciare al 20-30% delle vendite da un giorno all’altro; ma tuttavia questo avrebbe anche voluto dire riottenere il controllo diretto del servizio clienti e dei resi prima ceduti ad Amazon.

La pandemia ha avuto un impatto enorme sulle catene di approvvigionamento in quasi tutti i settori. Alla fine di marzo del 2020 vi fu una carenza globale di biciclette e ricambi, proprio mentre la domanda continuava a salire. Siccome la maggior parte della produzione di biciclette e ricambi ha luogo in Asia, man mano che la pandemia avanzava, i tempi di consegna degli articoli provenienti da Taiwan passarono da 45 giorni a 200.

All’inizio del 2021, Kerson si rese conto che molti negozi di biciclette erano sul punto di chiudere non a causa della domanda ma dei rifornimenti che arrivavano con il contagocce. Ritirare i prodotti da Amazon poteva quindi essere la soluzione perfetta per favorire queste piccole attività indipendenti e liberare la PNW dalla frustrazione che la tormentava. Con Amazon, infatti, si erano presentati diversi problemi a causa del servizio clienti.

Inoltre, Kerson si rese conto che scegliere l’articolo giusto, in un settore così tecnico come il suo, è difficile, perchè dipende molto dalle esigenze dei clienti e delle loro bici. Amazon non era in nessun modo in grado di offrire questa competenza e questo si traduceva in un alto numero di resi (la cui gestione rappresenta sempre un costo considerevole).

Un’altra cosa che sembrava avvenire sempre più spesso era la restituzione fraudolenta: Kerson era solito ricevere centinaia di articoli falsi rispediti a lui via Amazon. Le scatole in reso spesso contenevano tubi d’acciaio, caffettiere, rubinetti, e, una volta, perfino un costume di Superman.

Un altro problema per Kerson derivava dal cercare di mantenere la partecipazione nel Seller Fulfilled Prime, un programma Amazon dove i venditori spediscono i propri prodotti in modo molto rapido, ma senza usare i magazzini di Amazon. La difficoltà stava nel ritmo insostenibile. Gli articoli, secondo questo programma, devono essere spediti nello stesso giorno, con altissima percentuale di successo e bassissima percentuale di resi.

Si deve anche considerare che per alcuni prodotti la spedizione richiede più della metà del prezzo di vendita, e questo ancor prima che Amazon abbia preso la sua commissione. Per chiunque possieda una piccola o media impresa, è fisicamente impossibile o comunque non proficuo fare consegne a livello nazionale per tutta la settimana. Unica alternativa è quella di utilizzare il servizio in-house di Amazon, “Fulfilled By Amazon”, che richiede però che le piccole imprese cedano il controllo logistico, vendendo all’ingrosso alla società o utilizzando i magazzini e i centri di distribuzione di Amazon.

PNW non era l’unica attività ad essersi stancata di Amazon. Kerson chiese anche a tutti i rivenditori che disponevano dei ricambi PNW, di rimuovere tutti i loro articoli dalla piattaforma in modo che tutti i soggetti coinvolti potessero massimizzare i propri profitti invece di competere tra loro.

Amazon non stava funzionando nemmeno per i rivenditori più grandi: l’unico motivo per il quale erano su Amazon era perché non c’era altra scelta se volevano competere nella vendita di quei determinati prodotti. Stavano anche perdendo denaro sugli oggetti a più basso prezzo, ma subivano la perdita solo per avere la possibilità di connettersi con quel cliente.

Alcuni venditori stavano mettendo bigliettini di carta all’interno degli oggetti di basso valore, chiedendo ai clienti di acquistare direttamente dal negozio la prossima volta. Al contrario dei negozi di biciclette che hanno attraversato un periodo difficile durante la pandemia, i profitti di Amazon sono saliti alle stelle durante questo stesso periodo. Il fatturato annuale della società ha toccato i 386 miliardi di dollari nel 2020, in aumento del 38 per cento rispetto all’anno precedente.

I problemi non si limitano certo all’industria della bicicletta, e Karson fa parte di un movimento che coinvolge altri piccoli venditori frustrati da Amazon. Sarah Ford, ex marine degli Stati Uniti, ha abbandonato Amazon con il suo marchio di stivali di lusso, Ranch Road Boots, nel 2019.

Pensava che una piattaforma grande come Amazon avrebbe potuto semplificare il processo necessario per far diventare i suoi stivali un successo, ma Ford aveva sottovalutato i costi aggiuntivi da tenere in conto in caso di successo sulla piattaforma, come l’acquisto di pubblicità pagata per garantire ai clienti di poter trovare i suoi prodotti, senza contare le commissioni.

Amazon rappresentava il 50% delle sue vendite, quando Ford decise di togliere i suoi stivali dalla piattaforma e ci sono voluti un paio di anni per riprendersi dalla perdita .

Altre controversie: Amazon è sostenibile?

Con l’introduzione del precedentemente menzionato ‘Amazon prime’, inoltre, alcune controversie che già cominciavano a circolare sul conto di Amazon, non hanno fatto altro che diffondersi ulteriormente. Era evidente, infatti, che per realizzare delle consegne entro i tempi velocissimi promessi dal sito si deve nascondere un altro tipo di costo, che va oltre il denaro: il costo etico e umano.

Lo sfruttamento dei lavoratori, che comprende le discutibili condizioni di lavoro e le regole rigide a cui vengono sottoposti, i loro bassissimi salari, l’elusione fiscale internazionale e i problemi ambientali (packaging, trasporti) sono un esempio degli aspetti negativi che contribuiscono ad alimentare le polemiche danneggiando l’immagine di Amazon.

Queste sono solo alcune delle questioni che stanno emergendo circa la sostenibilità di Amazon, ma probabilmente la prima riflessione che dovremmo fare dopo quanto detto è questa: vale davvero la pena dare il nostro supporto a colossi globalizzati come Amazon, quando invece potremmo sostenere le piccole attività locali? Dopo i durissimi colpi che la pandemia ha assestato ai negozi dei nostri quartieri e al nostro stile di vita, questa è forse la domanda che sempre più persone si stanno ponendo.

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