Ancora una volta l’Italia si qualifica tra i paesi che con maggiore difficoltà perseguono la crescita del Pil. I report dell’Istat non forniscono certo informazioni ottimistiche riguardo il futuro, né positive per quanto concerne l’ultimo trimestre.
La fase espansiva iniziata nel 2015 si è infatti interrotta a causa di un contributo nullo delle componenti interne della domanda e delle esportazioni nette. Inoltre il divario inflazionistico a favore dell’Italia si è leggermente ridimensionato, e l’indicatore anticipatore ha evidenziato un’ulteriore flessione, segnalando la persistenza di una fase di debolezza del ciclo economico.
Dopo quattordici trimestri di crescita, il Pil italiano, espresso in valori concatenati con anno di riferimento 2010, corretto per gli effetti di calendario e destagionalizzato, ha segnato una variazione congiunturale nulla. Per quanto concerne la domanda nazionale e quella estera, il contributo è stato pari a zero, comportando una variazione comunque positiva (+1,0%) nell’anno.
Una simile tendenza si inserisce in un panorama di crescita economica a livello internazionale, con un’accelerazione della crescita del Pil statunitense rispetto a quello dell’area euro, che si mantiene comunque in aumento, seppur a ritmi più moderati. Non stupisce quindi l’arresto nella crescita del Pil italiano, in quanto all’interno dell’area europea vi sono stati andamenti piuttosto eterogenei. A livello complessivo, a settembre il tasso di disoccupazione si è mantenuto stabile all’8,1% e la fiducia dei consumatori e delle imprese operanti nel settore delle costruzioni è aumentata.
Tuttavia, il clima di fiducia dell’industria, dei servizi e del commercio al dettaglio ha subìto una notevole flessione.
Le tendenze citate si rinvengono dunque anche nell’economia italiana, dove le prospettive future non appaiono così rosee.
Infatti il calo nella produzione industriale nel periodo giugno – agosto (-0,2 % rispetto al trimestre precedente) si è manifestato in una diminuzione del valore aggiunto dell’industria, con la sola eccezione dei beni strumentali.
Nello stesso periodo, è aumentato il divario tra mercati esteri e nazionali, con un aumento notevole del fatturato ricavato dai primi (+1,6 % rispetto a +0,2%). Questo trend si è interrotto a settembre, con una forte riduzione delle esportazioni verso l’area extra Ue (-3,7%). Un motivo determinante di questo cambiamento di rotta potrebbe essere rinvenuto nell’introduzione di dazi contro le importazioni dall’Europa da parte dell’amministrazione Trump, con tariffe piuttosto elevate per acciaio (25%) e alluminio (10%).
Tuttavia, l’Italia non deve temere una ripercussione negativa diretta dei dazi americani: Federacciai ha confermato che l’acciaio italiano resterà competitivo, con prezzi elevati, anche a fronte del dazio del 25%. Destano invece maggiore preoccupazione le ripercussioni negative indirette, cioè la decisione, da parte di paesi europei, di ridurre le esportazioni in America.
In particolare, se tra questi paesi ci fosse la Germania, verrebbe indirettamente penalizzata anche l’Italia, che esporta nel paese circa un quarto dell’acciaio e dell’alluminio. Tuttavia, stando ai risultati riportati dall’Istat recentemente, le esportazioni continuano ad aumentare, sia in termini di valori unitari, sia in termini di volumi, non solo verso la Germania, ma anche verso Francia, Polonia, Svizzera e India.
Per quanto concerne il settore delle costruzioni, nel periodo giugno – agosto 2018, l’indice destagionalizzato della produzione nelle costruzioni ha subìto un aumento del +1,7% rispetto al trimestre precedente, grazie anche a un incremento dei permessi di costruzione nel primo trimestre del 2018.
Un’analisi a livello socio-economico ha evidenziato come, complessivamente, il mercato del lavoro abbia dato segnali positivi di ripresa, con un lieve aumento del tasso di occupazione e una leggera riduzione di quello di disoccupazione. Tuttavia, a settembre ci sono state una diminuzione degli occupati, di cui la maggior parte dipendenti permanenti, di circa –0,1% in un mese e un incremento di persone in cerca di lavoro del +3,2%.
Con l’inizio di ottobre le prospettive non sono di certo migliorate, con una ripresa nell’aumento dell’inflazione. Il NIC, l’indice dei prezzi al consumo che misura l’inflazione a livello dell’intero sistema economico, ha riportato un aumento annuo dell’1,6%, due decimi di punto percentuale in più rispetto a settembre, per lo più a causa del rialzo delle tariffe di energia elettrica e gas, a seguito dei rincari dei prezzi petroliferi.
Nonostante ciò, l’inflazione di fondo è piuttosto contenuta e l’Italia mantiene un divario inflazionistico, seppur leggermente ridotto rispetto al periodo precedente, a proprio favore nei confronti della zona euro. L’aumento dell’inflazione non sorprende, essendo infatti causata da spinte al rialzo esogene e quindi impattanti la maggior parte dei paesi.
Per quanto riguarda il mercato interno, il rincaro dell’energia ha comportato un aumento dei prezzi alla produzione dei prodotti industriali e si mantiene la tendenza all’aumento per i beni di consumo non alimentari, raggiungendo il ritmo di crescita maggiore degli ultimi quattro anni.
Tutti gli operatori economici attendono una ripresa dell’inflazione, seppur con diversa intensità. In ottobre vi è stata una forte riduzione del saldo negativo tra aspettative di prezzi in aumento e prezzi stabili o in diminuzione, con una conseguente riduzione delle aspettative di stabilità. I produttori di beni di consumo mantengono una politica prudente, limitando fortemente il rialzo dei listini.
Una simile strategia potrebbe essere dovuta all’imminente avvicinarsi del Black Friday, previsto per venerdì 23 novembre. Infatti si stima che gli acquisti on line degli italiani supereranno per la prima volta il miliardo di euro, con una crescita del 35% circa rispetto al 2017.
Dal punto di vista dei consumatori, nel mese di ottobre la fiducia nelle prospettive di disoccupazione ha mostrato un leggero aumento, compensato però da un peggioramento nelle attese sulla situazione economica italiana.
Dal punto di vista delle imprese invece si assiste a una flessione del clima di fiducia nelle prospettive future, fatta eccezione per il settore delle costruzioni. A conferma di quanto già affermato, l’indicatore anticipatore registra un’ulteriore flessione, segnalando la persistenza di una fase di debolezza del ciclo economico.
Tuttavia, è bene ricordare che i valori relativi alle prospettive di fiducia di consumatori e imprese sono ottenuti con indicatori anticipatori, utilizzati in economia per stimare l’andamento del Pil nei mesi seguenti, per lo più ponendo domande ai diretti interessati, quindi a consumatori, manager e titolari d’azienda. La salita di simili indicatori segnala quindi un’espansione dell’economia, ma bisogna sempre considerare che si tratta di stime basate su previsioni elaborate dai singoli individui, non di una scienza esatta.